Silvia Salis interviene alla rassegna “Donne e Diritti” de il Mulino in collaborazione con la Fondazione Lottomatica presso la Camera di Commercio di Roma. Il 4 dicembre il focus è su “Donne e Sport” e la vicepresidente vicaria del Coni fa squadra con la professoressa e sociologa Elisa Giomi
di Enza Beltrone
Alla Camera di Commercio di Roma la vicepresidente Salis torna a parlare di ‘Donne e Sport’ e lo fa nella rassegna “Donne e Diritti” de il Mulino in collaborazione con la Fondazione Lottomatica. In squadra con la professoressa e sociologa Elisa Giomi mettono a nudo i problemi culturali e professionali ancora radicati nella società italiana: “bisogna sostenere le quote rosa perché dove non sono obbligatorie si esprimono ancora Consigli totalmente al maschile – sostiene la vicepresidente. Non è una questione polemica. E’ un dato di fatto!”.
Nella sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano l’incipit del professore Antonio Celotto, che ha moderato l’incontro, è dedicato alla ricostruzione storica dello sport al femminile, ponendo l’accento sul lavoro delle “ama” pescatrici di perle giapponesi che da duemila anni si immergevano a bassa quota senza alcun supporto tecnico. Evidenzia il professore: “gli uomini vanno fuori a pesca. Si imbarcano su battelli costieri, salpano per tutti i porti sui mercantili, mentre le donne, non destinate a quel vasto mondo, cuociono il riso, attingono l’acqua, raccolgono alghe marine e, quando vien l’estate, si tuffano giù nel segreto fondo del mare”.
Come le ‘ama’, quella della vicepresidente del Coni all’incontro di chiusura di “Donne e Diritti”, presso la Camera di Commercio di Roma, è una testimonianza di “forza”. Inizia salutando due donne di vertice sedute in sala, la prima presidente della Federazione Italiana Danza Sportiva, Laura Lunetta, e l’amministratrice delegata dell’Istituto per il Credito Sportivo, Antonella Baldino. Silvia Salis è forte, sa di esserlo e non si fa intimorire. Tutte dovrebbero poterlo fare ma, sa e racconta, non è così naturale che accada. Ecco perché è necessario che le donne “forti” possano pensare alla difesa dei diritti di tutte, anche di quelle che restano nell’immaginario collettivo come ‘il sesso debole’. Irrompe la grinta della campionessa e la necessità di demonizzare i ‘misogini’. Serve un cambio culturale e che gli uomini che assistono a scene ingiuste di altri uomini abbiano il coraggio di dissociarsi e dire la loro soprattutto in presenza delle donne che hanno subito un torto, una mancanza di rispetto professionale o una diminutio di ruolo. La vicepresidente vicaria del Coni è consapevole del lungo cammino verso il cambiamento, così quanto è conscia dell’imprescindibilità di compierlo assieme uomini e donne. “Non faccio mai ragionamenti, come direbbe mio marito, di ‘maschi contro femmine’ perché il problema non è quello. Il tema non è mettersi uno contro l’altro ma comprendere che c’è un problema e che bisogna trovare un equilibrio”. Poi, pone l’accento sul numero di donne al vertice, esiguo, sostenendo che è non soltanto un fatto culturale ma un inghippo che rende il nostro sistema sportivo e politico-dirigenziale debole, oltre che tremendamente indietro rispetto ad altri Paesi: “un sistema che non ha donne al vertice è vulnerabile. Una presa di coscienza in questo farebbe diventare il sistema sportivo di maggior successo”.
Servono degli esempi e sostiene che non è valido il credo “se ce l’ha fatta lei lo possono fare tutte” perché non è vero, non è sempre facile. C’è bisogno che si combinino troppe variabili, la partecipazione assidua alla vita sportiva sul territorio, la gestione dei propri figli e del proprio lavoro, poiché fare dirigenza sportiva significa fare volontariato, e non tutte sono fortunate come lei, sostiene. L’esempio, nel suo caso, lo ha dato il presidente del Coni Giovanni Malagò quando l’ha scelta come sua vicaria a soli 35anni, “è di certo è stato un segnale importante”.E’ consapevole ed onesta la martellista olimpionica e pluricampionessa italiana quando parla della sua carriera sportiva da donna. Per una vita si è sentita ripetere che uno sport da uomo l’avrebbe rovinata, resa brutta, resa un uomo… e, tra le sue colleghe, ha vissuto il pregiudizio di apparire frivola per il semplice fatto che le è sempre piaciuto curare gli aspetti estetici. Parla della differenza del concetto di forza per rafforzare l’analisi sul linguaggio della comunicazione dettagliato della sociologa Giomi: “mentre per gli uomini la forza è associata al bello e al potere per le donne la forza è associata a qualcosa che ti deve disturbare, perché una donna forte deve essere quantomeno sgradevole all’aspetto”. Fa anche ironia sulle credenze prive di fondamento: “un mio amico dice sempre, è come se giocare a basket ti fa diventare alto, e non è così automatico”.Chiude sul rapporto Censis e Lottomatica sulle donne che sviluppano l’indipendenza durante la loro vita. Si sofferma sul dato che queste donne hanno quasi sempre donne fatto sport nell’adolescenza. Hanno imparato a gareggiare, a viaggiare da sole ad essere autonome, ora manca il processo di presa di coscienza e di affermazione nella società paritaria davvero.