Duro scontro fra il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino e il segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa, Raffaele Lorusso. Tutto nasce dall’audizione parlamentare di Lorusso sulla riforma dell’editoria e dello stesso Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, ma come si può leggere dai due interventi che riportiamo i temi si allargano all’equo compenso, alle tutele sindacali, alla ex fissa e alle pensioni.
Questa è la nota che il presidente del Cnog, Enzo Iacopino, ha trasmesso a Franco Abruzzo con riferimento alla cronaca dell’audizione parlamentare di Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi, sulla riforma dell’editoria e dello stesso Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=19181).
Caro Franco, non dedico grande attenzione alla segreteria della Fnsi e alle esternazioni dei clan di ogni livello. Tranne ad una, la Clan, la commissione lavoro autonomo, mortificata in passato facendole ingurgitare posizioni che non rispondevano ai bisogni di freelance e non garantiti in genere, in base ad una logica mercantile della tutela dei diritti: quelli degli ultimi, quelli di quanti speravano nella legge sull’equo compenso, immolati il 19 giugno 2014 come agnello sacrificale per avere dalla Fieg l’elemosina di un contratto che non tutela neanche i “garantiti”.
Non le dedico grande attenzione non già perché non senta il bisogno di sindacato. Eccome, se lo avverto! Mi accusano (a ragione) di fare, con l’Ordine, sindacato. L’ultima volta è accaduto il 13 ultimo scorso, in occasione di un confronto con il governo. E’ stato un lapsus freudiano del rappresentante dell’Aeranti, Fabrizio Berrini.
Non riesco a provare interesse alcuno per chi uccide le speranze di migliaia di giovani di tante età, accodandosi alla richiesta della Fieg di rinviare a febbraio 2016 ogni discussione sull’equo compenso, dopo che il Tar del Lazio ha buttato nel bidone dell’immondizia – su ricorso dell’Odg – la delibera che Fieg,Fnsi, Inpgi e governo avevano approvato il 19 giugno 2014. Rinviarla a dopo l’udienza del Consiglio di Stato, fissata in febbraio, con una sentenza che non sarebbe depositata prima di maggio-giugno 2016.
Calcoli fatti a tavolino, fidando che in giugno – con le nuove elezioni – la presidenza dell’Odg non sia di Enzo Iacopino, ma di qualcuno pronto ad obbedir tacendo ai diktat di questo o quell’organismo terzo. Gliel’ho detto (ti mando anche il file audio della riunione, fornitomi dalla presidenza del Consiglio, https://drive.google.com/open?id=0B6TovXgYUI_3V2FnNWRfLTRKQjg): non c’è bisogno di essere il presidente dell’Ordine per portarli davanti ad un magistrato.
Non riesco a sentire rappresentante del sindacato chi approva un contratto che toglie diritti, ad esempio la ex indennità fissa a chi l’ha maturata, quasi come retribuzione differita. E chi si spinge a costituirsi in giudizio contro i colleghi che rivendicano quel diritto.
Non riesco a sentire rappresentante del sindacato chi cerca di promuovere una guerra generazionale, trasmettendo messaggi scorretti ai più giovani, facendo loro credere che ridurre certe pensioni garantisca futuro.
Non riesco a sentire sindacato chi si spinge – come è stato fatto con te – ad auspicare neanche troppo implicitamente la morte di un collega, cercando di accreditare, guitti di infimo ordine, come satira quella che è una volgarità.
Non riesco a sentire come rappresentante sindacale chi tace o perfino approva quanto sta accadendo all’Inpgi, in tutte le sue pieghe: dagli affari della rinomata ditta Magnoni-Sopaf – nell’ambito della quale c’è una richiesta di rinvio a giudizio per il presidente Inpgi, Andrea Camporese, per il reato di truffa ai danni dell’Istituto (!) e di cotrruzione, richiesta di rinvio ribadisco – alle ipotesi legate al taglio delle pensioni.
Ma questa volta non posso tacere.
Il temerario segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, approfitta di una audizione parlamentare sulla riforma dell’editoria (http://webtv.camera.it/evento/8645) – nella quale una manina ha inserito una maldestra “riforma” dell’Odg – per affermare che trova “adeguato” il numero di 18 membri per il Consiglio nazionale dell’Ordine.
Non è un’idea completamente nuova. Il suo predecessore, Franco Siddi, ne aveva ipotizzati sei (o nove), ma in una performance non istituzionale. Poi, Siddi, intelligente, chiarì che di boutade si trattava.
Lorusso, invece, tutto preso nelle sue strategie, trova “convincente” la proposta e si chiede che cosa ci facciano tra gli iscritti all’Odg coloro i quali non hanno una posizione (Inpgi) attiva (la performance è tra i minuti 12,19 e 14,26).
Ma va oltre. Non solo dà i numeri, falsi (“se si votasse con l’attuale normativa il Cnog andrebbe dagli attuali 156 consiglieri a ben oltre 160”: non è vero!), ma si preoccupa di chiedere che venga evitato che si voti con le attuali norme, esercitando non si capisce come la delega. Nel 2015, l’analfabetismo non è una colpa. E’ un reato.
L’Odg è il solo Ordine che si deve occupare degli esami di abilitazione. Al pari degli altri, ha dovuto creare un Consiglio di disciplina di 12 membri. Con i 6 consiglieri rimanenti, secondo il segretario della Fnsi, l’Odg dovrebbe farsi carico dell’obbligo della formazione e dei doveri legati alle competenze amministrative: iscrizioni, cancellazioni, negazioni di diritti reclamati in sede di appello da chi se li vede negati in base a chimiche non sempre decrittabili. E vigilare su quella “robina” che sembra sconosciuta al Lorusso, che è la garanzia del rispetto dei principi deontologici.
Un grande disegno, poco sindacale, ispirato ad un obiettivo: impadronirsi dell’Ordine e della gestione della sua cassa. E’ una manovra che non riuscirà.
Non ha titoli – nella funzione – per occuparsi dell’Ordine – solo con l’obiettivo di rendere inutile anche questo organismo – chi ha portato il sindacato a farsi sgabello della Fieg; chi ha concorso non solo con i silenzi (il segretario della Fnsi siede nel Cda dell’Inpgi) a mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dell’Istituto; chi ha privato tanti colleghi di diritti reali con effetto retroattivo (la ex fissa); chi ha votato il taglio delle attuali pensioni, tragico preavviso di conseguenze nefaste anche per quanti oggi sono in attività; chi disegna strategie che porteranno alla morte della nostra previdenza autonoma.
Potrebbe dedicare qualche energia, invece, per occuparsi del sindacato. Domandandosi, ad esempio, perché tra il 2013 e il 2014 gli iscritti, dichiarati, siano diminuiti da 21.923 e 20.483, nonostante il lodevole impegno di qualche associazione regionale di stampa che occupandosi dei colleghi, e non delle strategie da avanspettacolo, hanno visto aumentare le loro adesioni.
La Fnsi è una associazione privata. L’Odg è un ente di diritto pubblico. Qualcuno potrà ben spiegare a Lorusso che l’Odg, fin da prima che diventasse un obbligo, ha pubblicato i suoi conti. Lo fa. Da anni. Da quando venni eletto segretario dell’Ordine.
La Fnsi no. Nulla, o quasi si sa del suo bilancio. Nulla o quasi delle molte missioni estere fatte, a vario titolo, dai dirigenti. Si favoleggia dei rapporti con la Cina dell’Odg. Sono stati interrotti. Per mia determinazione, appena ho avuto il titolo per chiederlo (e imporlo, con qualche maldipancia anche di qualcuno tra quanti denunciano quelle “gite” – che tali non sempre erano – ma o erano andati a Pechino o chiedevano di essere inseriti nella delegazione).
I bilanci dell’Odg sono pubblici. I conti dei vertici dell’Odg anche. Da anni. Nulla si sa, ufficialmente, della Fnsi. Non ci sono viaggi in giro per il mondo: Mosca, Sudamerica, Bruxelles, Istanbul con i motivi più disparati (perfino validi).Perché non viene reso tutto pubblico? Non c’è obbligo, ma c’è un divieto? La trasparenza la chiediamo sistematicamente. Agli altri.
La proposta per il segretario della Fnsi è “convincente”; il numero di 18 consiglieri “adeguato”. L’Ordine ha chiesto una riforma complessiva. E’ depositata. E’ stata illustrata con l’aggiunta anche di una alternativa (sul sito www.odg.it c’è la mia audizione presso la stessa commissione, nella quale sono stato ben attento a non sovrappormi ai compiti sindacali. E’ un problema di stile e di latitudine).
All’Ordine sono iscritti, alla data del 30 settembre scorso, 29.035 professionisti e 74.986 pubblicisti. In totale 104.021 colleghi, che hanno ottenuto il tesserino nel rispetto delle previsioni di legge. Non è una scelta o una concessione. E’ la legge che stabilisce le procedure.
Questi colleghi dovrebbero essere rappresentati da 18 consiglieri. Mi sottraggo alla patetica crociata contro i pubblicisti in genere, senza i quali tante tv e radio dovrebbero spegnere la loro voce e tanti quotidiani e periodici dovrebbero ridurre la foliazione.
Essendo un ente di diritto pubblico, che risponde a obblighi di legge, l’Odg non può con un gioco linguistico trasformare in professionisti quanti tra i pubblicisti fanno a tempo pieno o quasi questo lavoro. Non può. La Fnsi lo ha fatto, inventando il termine “professionali”. Poteva farlo. E’ stato giusto farlo accordando loro un riconoscimento per l’attività che svolgono. L’Ordine non può. Ha cercato strade che vengono vanificate dalla paura delle ritorsioni degli editori. Ma questo è altro discorso.
Parliamo della rappresentanza e delle contraddizioni. La Fnsi, che ha meno di un quinto degli iscritti dell’Odg, ha un Consiglio nazionale di 142 membri: 95 professionali, 26 collaboratori e 21 membri di diritto (ex presidenti, ex segretari e cariche varie, compreso il sottoscritto, pro tempore). Ben 40 di questi vengono in rappresentanza delle regioni: 20 professionali e 20 collaboratori.
Per evitare che le regioni più “grosse” vengano equiparate a quelle più piccole, è previsto che 10 vengano eletti dalle associazioni che hanno più del 25 per cento degli iscritti. Ne approfitta solo la Lombardia (che, quindi, ha almeno 12 rappresentanti) perché il Lazio, con una pratica geniale, si mantiene appena sotto quella percentuale e, quindi, riesce ad eleggerne, in congresso, 11 (di conseguenza ha almeno 13 rappresentanti). Altri trenta vengono eletti direttamente dal congresso. In soldoni, e senza tirarla per le lunghe: si punta a garantire una adeguata e proporzionata rappresentanza di tutte le realtà regionali.Centoquarantadue consiglieri per 21.923 iscritti. Tradotto, un consigliere per ogni 138 iscritti (o 181, scorporando i membri di diritto).
All’Odg (156 consiglieri, 12 dei quali diventano subito estranei al Consiglio) il rapporto è di un consigliere ogni 666: oltre 3 volte e mezzo superiore, depurando i membri di diritto.
Il collegio dei probiviri della Fnsi (l’equivalente dei 12 membri del Consiglio nazionale di disciplina) è composto da 24 colleghi. E i revisori dei conti? Sette alla Fnsi mentre al Cnog sono 3.
Il bilancio della Fnsi, per il 2014, è di 3.054.930,86 euro. Solo 1.292.579,90 provengono da quote federali. Il resto sono soldi di tutti gli altri giornalisti, iscritti o non al sindacato, i quali se contrattualizzati, se soci Casagit o membri del Fondo di previdenza complementare sono obbligati a versare un obolo alla Federazione della stampa.Sono obbligati.
L’Ordine, secondo la Fnsi e qualche professore, dovrebbe averne 18, eletti verosimilmente su scala nazionale. Intere regioni, migliaia di colleghi, non avrebbero alcun riferimento locale. Una vera strategia democratica.
Ma se è “convincente” quella proposta e “adeguato” quel numero, perché con una semplice riunione il Lorusso non propone di abbattere (faccio le proporzioni, partendo da 18) a 4 i membri del Consiglio nazionale della Fnsi? Non può farlo perché sarebbe folle (e lo farebbero a pezzi). Ma quel che è folle per la Fnsi, è “adeguato” e “convincente” per l’Odg.
Uno strabismo molto sospetto, con un occhio puntato alle prossime elezioni dell’Ordine, tanto che al segretario della Fnsi è sfuggito un appello ad evitare che si svolgano con le norme vigenti. L’obiettivo è evidente: tentare di insediare un qualche silenzioso esecutore pensando alla risorse che l’Odg, con una sana amministrazione, è riuscito ad accantonare. Risorse che sono state in parte utilizzate per acquistare “la casa dei giornalisti” nella quale ci trasferiremo dal prossimo anno e investite nella “formazione-aggiornamento” gratuita. Morale: è ora di occuparsi del sindacato. Di questo. O di un altro.
E questa è invece la replica di Raffaele Lorusso, segretario generale Fnsi.Qualcuno avverta il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti: il primo gennaio 1948 è entrata in vigore la Costituzione della Repubblica italiana. Non vorremmo che la sua reazione scomposta nascondesse la disperazione di chi rimpiange i tempi della censura e ancora non riesce a rassegnarsi all’esistenza dell’articolo 21 della Costituzione. Manifestare liberamente il proprio pensiero in questo Paese è ancora possibile, nonostante i numerosi tentativi di introdurre leggi bavaglio. Se il presidente dell’Ordine dei giornalisti pensa che il sindacato non abbia titolo per occuparsi della riforma dell’Ordine c’è da essere preoccupati per la categoria e per la professione. I casi, infatti, sono due: o il presidente dell’Ordine è un sostenitore del pensiero unico e sogna di sommistrare olio di ricino a chi non si allinea oppure considera l’Ordine cosa sua e soltanto sua. Purtroppo per lui, i giornalisti italiani, tutti, anche quelli iscritti al sindacato, sono iscritti all’Ordine, e non certo per una libera scelta, ma per un obbligo di legge. Quindi, a tutti, anche al sindacato dei giornalisti, è consentito esprimere un parere su una proposta di riforma della composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine, soprattutto se quel parere viene richiesto da una Commissione parlamentare.
Il presidente dell’Ordine è nervoso e fa bene ad esserlo. Se quella proposta di legge dovesse essere approvata, infatti, scomparirebbe un Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti che conta attualmente 156 consiglieri, destinati ad aumentare in modo proporzionale al numero degli iscritti. Pensare che nel prossimo triennio i consiglieri nazionali possano essere più di 160, in maggioranza pubblicisti (coloro, cioè, che per legge non esercitano la professione in via esclusiva) è un’assurdità che soltanto chi è in malafede non riesce a cogliere. Le riunioni di Consiglio nazionale e di commissione costano all’Ordine circa 1,5 milioni l’anno. Una riduzione del numero dei consiglieri produrrebbe un risparmio considerevole, dando la possibilità di investire di più e meglio sulla formazione. Dov’è lo scandalo?
Gli organismi della categoria, non soltanto l’Ordine, sono pletorici? Il tema esiste e va affrontato a tutti i livelli, anche nel sindacato. Dove, però, l’iscrizione rappresenta un atto volontario, e non certo un obbligo di legge e la rappresentanza – è scritto negli atti costitutivi della FNSI – è una regola di democrazia. Pertanto, mistifica la realtà chi pretende di mettere sullo stesso piano Ordine e sindacato, ossia un organo dello Stato, che deve occuparsi di governare una professione secondo regole fissate dalla legge o che comunque da esse discendono, e una libera associazione di diritto privato. È giusto e legittimo discutere di tutto. Così come è giusto chiedersi – lo fanno in molti, dentro e fuori il Consiglio dell’Ordine, dentro e fuori il sindacato – se abbia ancora senso l’Ordine dei giornalisti, considerato che il tema dell’esercizio delle professioni in Europa ha imboccato da tempo una strada completamente diversa.
La colpa del sindacato è quella di aver sollevato, non certo solo in occasione dell’audizione alla Camera, il problema di un’organizzazione professionale, l’Ordine, appunto, totalmente avulsa dalla realtà del mercato del lavoro. Quasi 120mila iscritti sono un dato fuori dal mondo. Pensare che in Italia ci sia un mercato del lavoro che possa assorbirli tutti significa fare cabaret. Non si comprende, poi, come faccia l’Ordine a tollerare che più della metà degli iscritti non abbia una posizione previdenziale attiva. L’iscrizione alla previdenza, gestione principale o separata dell’Inpgi, è un obbligo di legge per tutti coloro che esercitano la professione con continuità. Se un giornalista non esercita la professione con continuità non ha titolo per essere o per restare iscritto all’Ordine (il requisito della continuità è richiesto dalla legge). Se chi esercita la professione con continuità non versa i contributi non adempie ad un obbligo di legge e, quindi, l’Ordine, che è un organo dello Stato, dovrebbe spiegare come faccia a tollerare l’evasione contributiva. Il problema è che spesso all’Ordine la legge si interpreta, talvolta con effetti esilaranti. Vogliamo parlare dell’ordine del giorno con cui si invitavano gli Ordini regionali a non applicare la norma di legge che obbliga a cancellare dagli elenchi chi non esercita la professione con continuità, che ha provocato la levata di scudi di dieci consigli regionali, a cominciare da quelli di Roma e di Milano?
Di certo, fra coloro che evadono il pagamento dei contributi, ci saranno colleghi sfruttati. Quei colleghi vanno tutelati in tutte le sedi – il sindacato lo fa su tutto il territorio nazionale – ma tutti gli altri, ossia la maggioranza degli evasori? Che cosa ci fa ancora iscritta all’Ordine? Forse perché non si vuole fare a meno delle quote di iscrizione e, soprattutto, di voti sicuri? Chi si fa carico del fatto che l’unico contatto che migliaia di persone hanno con la professione giornalistica consiste nel pagamento della quota annuale e nel voto in occasione del rinnovo triennale del Consiglio? È ancora tollerabile che il governo di una professione sia fortemente condizionato da chi non esercita la professione?
C’è poi il tema dell’equo compenso, caro al presidente dell’Ordine. Pretendere di scavalcare la contrattazione collettiva con una legge dello Stato scritta male e declinata peggio è una pia illusione. Ci sono giornalisti che percepiscono retribuzioni da fame, molto al di sotto dei minimi fissati dal contratto nazionale di lavoro. Fino a quando però ci sarà un Ordine professionale che continuerà a distribuire generosamente tesserini e a non occuparsi della tenuta dell’Albo, creando un esercito di riserva a costo quasi zero a disposizione di editori senza scrupoli, la situazione non potrà che peggiorare. Si chiama legge della domanda e dell’offerta e nessun equo compenso o contratto collettivo potrà cambiare questa realtà. Nel frattempo, però, l’Ordine potrebbe provare a sanzionare – esattamente come altri Ordini professionali – chi lavora gratis, per la gloria o per altre utilità, o chi accetta compensi inferiori ai minimi.
È poi singolare, ma non sorprende affatto, che il presidente dell’Ordine si scandalizzi per l’ex fissa e per la solidarietà richiesta a tutta la categoria – attivi e pensionati – nella recente manovra di riequilibrio dei conti dell’Inpgi. È la nostalgia di un mondo che non esiste più di chi è uscito dalla professione prima dell’avvento dell’era digitale e continua a ragionare come ai tempi della linotype e del piombo. Il futuro di una categoria professionale, esattamente come quello di un Paese, sta nella solidarietà fra generazioni. Se fosse convinto del contrario, il presidente dell’Ordine potrebbe pur sempre provare a spiegare come funzionava l’ex fissa in una qualche assemblea di giornalisti precari e a verificarne la reazione. È indubbio che le condizioni del giornalismo italiano siano peggiorate esattamente come quelle di tutte le altre categorie di questo Paese. Qualcuno ha mai chiesto a un ingegnere, a un bancario, perfino a un medico ospedaliero, qual è la differenza retributiva rispetto agli ingegneri, ai bancari e ai medici di qualche generazione fa? Di fronte ad una situazione che è figlia della globalizzazione dell’economia e dello spostamento di risorse e investimenti verso aree del pianeta un tempo fuori dai mercati mondiali, ma anche dell’incapacità di molti governi di affrontare nodi strutturali e sfide epocali, si possono avere due atteggiamenti: rimpiangere il passato o provare ad avere una visione di futuro. Rimpiange il passato chi da quel passato ha ottenuto tutto, anche di più di quello che gli sarebbe spettato, e in un mondo in profonda trasformazione si arrabatta come può per difendere il proprio orticello. Chi si sforza di costruire una visione di futuro prova invece a ridurre le diseguaglianze e a costruire un sistema di diritti, tutele e garanzie sostenibili per tutti gli attori del sistema. Soltanto rafforzando l’area del lavoro dipendente è possibile dare un futuro a questa categoria, garantendo i diritti di tutti, attivi e pensionati. Per fare questa operazione bisogna puntare sulla solidarietà fra generazioni. L’operazione potrà apparire come una bestemmia a chi è vissuto in un altro mondo e ricorda con nostalgia i tempi del “boia chi molla”, ma è l’unica operazione possibile. Anche a dispetto delle mistificazioni del presidente dell’Ordine sull’Inpgi e sul suo presidente. Non si può essere paladini della legalità a giorni alterni. Dal presidente dell’Ordine ci si aspetta ancora di capire come mai, poco più di un anno fa, avesse nominato in commissione d’esame un giornalista finito sotto inchiesta insieme con Walter Lavitola per presunta truffa ai danni dell’Inpgi e dello Stato.
Si metta l’anima in pace, il presidente dell’Ordine. E si tenga pure stretto il suo giocattolo. Non ci interessa la Cassa dell’Ordine per la semplice ragione che non ci interessa la corporazione. Se non lo avesse capito, a noi sta a cuore la professione con le sue regole, con i diritti, ma anche con i doveri. Quella professione dalla quale lui è uscito diversi anni fa, ma che pretende di governare e di rappresentare secondo schemi e rituali tipici del più bieco corporativismo. Per questa ragione non resteremo in silenzio. Né ci lasceremo imbavagliare da chi predica bene, aderendo a parole alle campagne contro i bavagli, ma razzola malissimo, sognando il bavaglio per chi non la pensa come lui.

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