Il 68 non fu un anno normale, si sa. Segna un’epoca, con le sue contraddizioni. Ma era un periodo di battaglie sociali e nacque il sindacato più strano sulla scena: l’Associazione Italiana Calciatori. Accadde a Milano, terra di lavoro, operosità, vertenze, diritti e doveri. Certo, il calciatore ha sempre guadagnato bene ma uno dai piedi buoni alfabetizzato riuscì nell’impresa: l’avvocato vicentino Sergio Campana, oggi presidente benemerito e al primo posto nella gerenza de Il Calciatore, l’house-organ di casa servito per far conoscere leggi e vicende, storie e luoghi. Il “covo” veneto dell’Assocalciatori è da sempre un laboratorio di teste pensanti. Onore al merito e chissà che il presidente Umberto Calcagno, la cui candidatura servì per far tornare su suoi passi Tardelli, non riceva mercoledì l’upgrade da Gravina per passare da vicepresidente Figc a Vicario al posto di Dal Pino, travolto dai cicloni della Lega A.
Come in Figc, col Centro Studi di Coverciano che ha da poco chiuso la Hall of Fame per il 2021, l’analisi di dati apparentemente lontani dal quotidiano conferiscono quel tocco in più ad un’organizzazione che non bada solo ai contratti dei vip ma anzi realmente assiste chi all’improvviso si ritrova senza stipendio e futuro.
Per esempio, lo stalking è un argomento cui i calciatori sono a conoscenza per vari aspetti. Dalla stagione sportiva 2013/2014, l’AIC ha istituito un Osservatorio con l’obiettivo di censire tutti gli atti di violenze, intimidazione e minacce compiuti nei confronti dei calciatori, sia professionisti che dilettanti. Al termine di ogni stagione sportiva, l’Osservatorio redige un Rapporto intitolato “Calciatori sotto tiro”, in cui si riportano dati, storie, analisi, focus su casi particolari, contribuendo così a portare all’attenzione pubblica un fenomeno particolarmente preoccupante e diffuso nel mondo del calcio.
Attingendo quotidianamente notizie da giornali e siti internet, locali, nazionali e internazionali, dai referti del giudice sportivo e dalle segnalazioni compiute dai collaboratori AIC sparsi su tutto il territorio nazionale, l’Osservatorio ha raccolto tutti i casi in cui i giocatori sono fatti oggetto di atti di violenza fisica, verbale e/o psicologica, preoccupandosi di registrare il luogo in cui gli atti sono stati compiuti, i soggetti che ne sono rimasti vittime e quelli che li hanno messi in atto, la tipologia di minaccia e di intimidazione praticata, gli effetti che essa ha prodotto, la reazione delle società e dei calciatori. Nel corso delle stagioni 2019/2020 e 2020/2021 emersi episodi denunciati e chissà quanti taciuti. I primi fanno casistica.
Questo il dettaglio:
- 114 atti di intimidazione e minaccia verso i calciatori censiti nelle due stagioni; 70% dei casi registrato nel campionato 2019/2020; 75% dei casi sono calciatori singoli ad essere fatti oggetto di minaccia (58% di questi sono stranieri); 4 casi su 5 (79%) dei casi si registra nei campionati professionistici (63% solo nella Serie A); la Serie D è il campionato dilettantistico più “pericoloso” (9%). Trend in controtendenza con le ultime 5 stagioni, nelle quali era stato il campionato di Eccellenza quello in cui si minacciava e si intimidiva di più; 1 caso su 10 (9%) riguarda i campionati giovanili;
- Nord, Centro e Sud-Isole fanno registrare sostanzialmente lo stesso livello di rischio. A differenza degli ultimi anni in cui il Sud era stata l’area più “calda”. Diversi, invece, appaiono i dati delle regioni: Lazio (20%), Campania (13%) e Lombardia (11%) guidano la classifica, e sono anche tra le regioni più numerose per calciatori tesserati. I casi relativi ai calciatori di Roma e Lazio, Napoli, Inter e Milan influiscono sulla classifica. Le modalità principali con cui i calciatori sono stati minacciati, offesi e intimiditi sono state le seguenti: 31% cori offensivi, dentro e fuori dagli impianti sportivi, prodotti da gruppi di ultras la cui identificazione, in particolare di alcuni singoli, risulta particolarmente difficile; 26% social network (in particolare Instagram): sia direttamente sia su profili di mogli, figli, fratelli. L’utilizzo di questo canale di offesa (con profili veri o falsi) si è largamente incrementato nel periodo di chiusura degli stadi. 1% offese e minacce verbali, sia negli impianti sportivi sia in luoghi pubblici;
- 6% aggressioni fisiche dentro e fuori degli stadi e dei centri sportivi. Contrariamente all’aumento delle minacce social, si registra una sensibile diminuzione delle aggressioni fisiche rispetto agli anni precedenti. Le principali cause per cui i calciatori sono stati minacciati, offesi e intimiditi sono state le seguenti: 42% razzismo. In alcuni casi gli arbitri hanno anche sospeso temporaneamente le partite richiamando l’intervento dello speaker (es. a Parma, Sassuolo, Brescia), in altri la partita è stata sospesa a causa dell’uscita dal campo dei calciatori offesi (es. Bagnolo in Piano, campionato di Eccellenza). Offese di stampo razzista verso dei calciatori sono giunte anche da giornalisti presenti in tribuna stampa degli stadi o in trasmissioni televisive; 32% prestazioni ritenute scarse e tali da motivare, secondo le tifoserie, una serie di ripetute sconfitte; 8% trasferimento del calciatore ad altra squadra.
Contrariamente a quanto emerso nei Report precedenti, nelle ultime due stagioni sportive sono stati soprattutto le tifoserie avversarie a offendere, minacciare ed intimidire i calciatori (65% dei casi) sia per motivi che rasentano l’odio verso le singole persone e ciò che esse rappresentano, sia per “deconcentrare” gli atleti in vista di una sfida importante. Per la prima volta, infine, insieme ad alcuni “Daspo” pluriennali emanati dalle autorità pubbliche verso ultras fortemente collegati all’estremismo politico (es. dal Questore di Verona), alcuni Club (ad es. Roma e Cagliari) hanno bandito a vita dai loro stadi i tifosi che si sono resi protagonisti di episodi come quelli oggetto del presente Rapporto.
“Avvilisce registrare” – ha osservato il Presidente AIC Calcagno – “che il razzismo resti ancora la causa principale delle intimidazioni, con episodi che riguardano soprattutto calciatori africani o sud-americani. In questo triste quadro, tuttavia, spicca l’impegno concreto di alcune società che hanno voluto allontanare dagli stadi gli autori (riconosciuti) di alcuni episodi per 5 anni o, addirittura, a vita”.