
Se ne va nell’inevitabile buio meteorologico una giornata illuminata dalla grandezza di Gigi Riva, il Mito dei Miti come da felicissima definizione di Fabio Cannavaro uno dei suoi ragazzi. Diventa complicato scrivere dopo aver sentito parole misurate come sarebbero piaciute a lui ma tutte sincere: il Migliore. Funerale solenne per aderire a quello che è stato il consueto, signorile saluto del Presidente Mattarella un gigante del saper vivere a livello istituzionale e non solo in questa epoca di twittatori. Ma funerale di popolo soprattutto: da molte parti d’Italia nonostante l’agitazione dei lavoratori nel settore trasporti in tantissimi per stare al fianco dei fratelli di Sardegna orgogliosamente distrutti per l’addio alla vita terrena del varesino da Leggiuno che mai ha mosso una sola radice dall’isola. Nel mondo un mito nonostante un solo scudetto al di là della cifra record dei gol messi a segno con la maglia della Nazionale. E in azzurro dopo il rossoblù ha vissuto momenti straordinari da dirigente: non un semplice grande ex a far da corredo ma uno straordinario uomo e campione capace di capire i momenti per parlare, osservare, guardare il gruppo dei ragazzi senza mai e poi mai invadere minimamente il campo dei commissari tecnici. A richiesta, parlava. Mai d’istinto. Il Rispetto per lui era con la maiuscola. Ne dava e ne pretendeva. Questo campione senza macchie e senza paura ci lascia una enorme eredità e segna forse tristemente e definitivamente il taglio tra quel calcio e questo di oggi che è un obbrobrio gestito da menti ruvide.
L’Ultimo gol forse Gigi non lo sa lo ha messo a segno mentre il Presidente della Lega di A, quella che in poco più di 20 anni ha ingoiato massime cariche e commissari a conferma di litigiosità senza pari, ha annunciato che sì bisogna pensare ad un turno di campionato all’estero. Ma perché non due o tre? Neppure i fischi durante il minuto di raccoglimento per Giggirriva suggeriscono prudenza verso ipotesi solo figlie di un ingordo arricchimento. E’ il rispetto che non c’è. Verso i tifosi innanzitutto.
La Federazione Italiana Sostenitori Squadre Calcio è arrivata fino in Parlamento alla Camera dei Deputati per invocare un tetto massimo sciorinando dati che vanno dal costo trasporti a quello di un toast e facendo media per famiglia. Come a dire una famiglia non può vivere di passione per il calcio. Ma cosa può interessare questo a presidenti che dopo aver minacciato di non voler andare in Arabia Saudita per la Supercoppa parlando di diritti umani, accordo economico ed altro ora plaudono per lo stato di civiltà e per le opportunità che nuovi scenari offrono. Chi in sala stampa aspettava Mazzarri che aveva già detto no alla premiazione, sbagliando per forma, non conosce il tecnico toscano che tra mille rovine sta trovando fili di cemento per ricostruire. Avrebbe sparato granate contro l’arbitraggio che nessuno di Casa Napoli ha proferito. Mah. Certo Walter One non poteva essere felice e non lo era, con una squadra privata di un uomo per la mediocrità – che è generale – del signor Rapuano. Ovviamente sui social si sono tutti scatenati: via Gravina, per esempio. Molti, anche addetti ai lavori, non sanno che le competizioni sono organizzate dalle Leghe e dunque andavano messi sotto processo i Casini, De Siervo e la numerosa pattuglia di funzionari, addetti, consulenti, impiegati, fornitori della Lega serie A per un simile scempio. Minuto di silenzio per Riva compreso, anzi soprattutto. Avrà avvertito prurito alle mani Tonino Matarrese, grandissimo ex presidente della Lega Professionisti prima e della Figc poi che se fosse stato in carica al primo fischio avrebbe ordinato alle squadre di rientrare negli spogliatoi. Poi avrebbe urlato ai sauditi che andava spiegato al pubblico in inglese ed in arabo che quando si onora un grande con foto sul display non c’è tradizione che tenga: ci si alza in piedi e si applaude. Invece tutti belli seduti tra poltrone laccate e sguardi compiacenti mentre don Tonino solo dopo il ripristino della legalità avrebbe fatto tornare le squadre in campo. Figc nella circostanza innocente ma il si salvi chi può non regge. L’Associazione Italiana Arbitri – altro braciere sempre col fuoco scintillante – è componente federale ed ha perfino diritto di voto seppur con quota minima senza poter alterare i giochi. Ma è famiglia Figc e se è vero che dobbiamo saper vivere i nostri tempi lo è altrettanto essere preparati e all’altezza. Parlare di esperimenti è assurdo quando insieme ai soldi messi in campo dai padroni del vapore ci sono gli interessi dei tifosi.
Gli arbitri di oggi con qualche eccezione che prova a far prevalere quanto ha imparato su campi polverosi dirigendo sfide al calore bianco sono ormai di qualità inferiore al minimo sindacale. La sala Var interviene quando ritiene, in campo è un andirivieni di pareri in cuffia che neanche nelle cabine di Rischiatutto ai tempi del signor Mike, anche le designazioni spesso appaiono incomprensibili ancorché – presumo – dettate dai voti dei commissari e dalla classifica di rendimento redatta ed aggiornata. Ma arbitrare – lo dico da ormai antico frequentatore di raduni e momenti di categoria dai tempi di Casarin – è innanzitutto una prova di abilità mentale ancora prima di dimostrazione di efficienza fisica necessaria ma ormai prevalente. Una categoria senza personalità in cui è palese come sia necessario un cambio di mano alla guida della Can, la commissione che gestisce La Rosa dei fischietti. Il presidente Pacifici, non un popolare e temuto big del fischietto ma ottimo direttore di gara e comunque persona di assoluto livello umano, è stato quasi in omaggio al cognome pregato di fare da casco blu dell’Onu dopo i casi che hanno portato alle dimissioni di Trentalange e la fragorosa vicenda del procuratore D’Onofrio tesserato e in servizio e poi arrestato per traffico internazionale di droga e le note spese gonfiate da altri arbitri etc. C’è un perdonismo esagerato per le ex giacchette nere come se custodissero chissà quali segreti. Usciti da una porta, rientrano da un garage ma sempre con un incarico. Martedì sera poi il botto su Italia 1. Di accusatori in maschera – e anche pubblici ce ne sono stati tanti – ma il problema è che da quando l’arbitro arrivava allo stadio in semi anonimato oggi parliamo di professionisti come lo show business richiede ma con una paurosa espansione degli organici tra direttori di gara assistenti giudici di campo poi var e infine l’ultimo parola di Rocchi sulla tolda della navicella di Lissone. Tutti in scala molto bene pagati. Invece che industriarsi sin d’ora nel risiko di seggiole e poltrone si affronti questo problema. E tocca alla Figc. La Lega di A, che in nome della passione, dell’amore per la gente e per chi lavora nel calcio a partire dagli atleti che è stato rimarcato nel tristissimo giorno dell’addio a Gigi Riva , dovrebbe trarre spunto per una riflessione invece di pensare a diritti tv, gare di campionato all’estero e società che hanno privato la gente di un allenamento a porte aperte, perfino a noi giornalisti di poter lavorare durante la settimana e subire diktat in occasione delle gare in ossequio a quanto fanno altre Leghe in Europa ma senza mai fornirne la prova l’invito a mettere da parte decisioni contro ogni regola del buonsenso. Che Infantino e Ceferin, a capo della Fifa e della Uefa, non riscrivano i regolamenti o concedano autorizzazioni è auspicabile ma in un mondo in cui c’è uno scandalo al giorno la speranza si accompagna alla preghiera. Per Gigi. Addio Rombo di Tuono, come tutti hanno detto con “questo” calcio non hai nulla da condividere. A te che hai vissuto per la gente e che sei stato vestito con la tuta dell’Italia per l’ultimo viaggio il commosso saluto del popolo, non di una ristretta cerchia di malpensanti.