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Giochi da favola, l’opinione di Riccardo Signori

Giochi da favola, l’opinione di Riccardo Signori

di Riccardo Signori 

L’anno santo dello sport italiano è stato lo schiaffo più vistoso che lo sport e, perché no?, il Paese, abbia saputo rifilare alla Pandemia. Un atto di rivolta e bisogna essergliene grati. E’ stata una guerra senza limite di colpi bassi quella fra l’annus horribilis e un azzurro Italia da favola. Ma andiamo a rileggere questo finale e sentiamoci felici: emozioni da far spalancare gli occhi, sorprese che neppure un mago avrebbe previsto, la bolla olimpica che ha retto riducendo al minimo le nostre defaillances da Covid, rigidi protocolli e stadi vuoti non hanno tolto agli atleti, non tutti ma quasi tutti, la voglia di andare oltre i limiti.
Siamo partiti da un campionato europeo di calcio vinto seguendo gli istinti di un sognatore (Roberto Mancini), siamo approdati a Tokyo contando 40 medaglie, record dei record per ogni storia olimpica, ogni giorno almeno un azzurro sul podio e lo sfolgorante successo dell’atletica, che si è posta al secondo posto sul podio delle medaglie d’oro della specialità: subito dietro gli Stati Uniti. Un’idea da: sogno o son desto?
Una forse casuale linea di congiunzione unisce Tokyo 1964 a Tokyo 2021: le medaglie d’oro furono 10 allora e sono 10 oggi. Non sappiamo quanto sia cambiato il Giappone, certo l’Italia rappresenta un altro mondo: multiculturale, giovane e pronto a mischiarsi nell’integrazione, forse figlio di una fame, che da qualche tempo, era andata calando nel nostro sport. L’Olimpiade ha ricordato a tutti noi il valore dei giovani, siano all’inizio del percorso o che lo abbiano concluso: splendidi i saluti di Aldo Montano e Federica Pellegrini.
Ancora una volta gli atleti hanno dimostrato di essere la parte migliore, superando problematiche poste da dirigenze ed enti non proprio confortanti nelle loro beghe da parrocchietta (politica).
I cinque ori dell’atletica, certamente inattesi in tal numero, indurranno a riflettere sull’organizzazione, sulla capacità di adattamento di tecnici, sempre poco pagati, e atleti: se il talento di Marcell Jacobs spiega i miglioramenti nel giro di un anno e la bravura di Paolo Camossi, il suo tecnico, ha aggiunto il quid mancante per farne risplendere le doti, la tecnica e la personalità dei marciatori hanno riproposto l’identità di una scuola, la folle testardaggine di Gimbo Tamberi ci ha ricordato come siamo fatti e di quali miracoli siamo capaci, infine l’assolo fantastico della 4×100 in pista ha riassunto preparazione, cura dei particolari e metodo dei nostri tecnici, ora studiati dal resto del mondo. Ecco, dunque, che l’atletica ha messo in mostra tutte le qualità dello sport italiano che altri movimenti, dal nuoto alla pesistica, dalle arti marziali al canottaggio, hanno riproposto sotto varie forme. Ci saranno rimasti male gli amanti della scherma, che ha regalato sempre bottini con tanto di oro puro: stavolta in linea con le medaglie, molto meno con gli ori. Per tutti esiste il momento della transizione tra la schiera di campioni del passato e la normalità del presente. Oggi abbiamo bravi atleti, non sempre campioni: la scherma richiede tecnica e forza nella testa. Vezzali ne è stata un esempio. Qualche scuola si è inaridita, forse servirà una rispolveratina anche negli ambienti tecnici. Ma la scherma risorgerà: e la sua favola continuerà. Speriamo, piuttosto, che la favola continui anche negli altri settori. Arrivare in alto è faticoso, restarci molto di più.
E qui aggiungiamo qualcosa che interessa noi giornalisti che parliamo, amiamo, ci appassioniamo allo sport: gli atleti, come quasi sempre accade dopo una Olimpiade, ci hanno rinfacciato il maggior interesse per un gol di Lukaku piuttosto che per una loro medaglia d’oro. Tutto vero, e non nascondiamoci sempre dietro agli interessi editoriali: nessuno perderà copie, o audience, dedicando uno spazio in più allo sport che vince ma non scatena risse da bar. Se per una volta Jacobs ruba la prima pagina rosa a Cristiano Ronaldo, pazienza! Ogni tanto dovremmo ricordarci di fare cultura sportiva, non solo cullarci nello sport. Conoscendo la categoria, fra tre anni saremo a riparlarne noi e gli atleti a lamentarsene.
IN COPERTINA FOTO SIMONE FERRARO – GMT

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